PESCARA – “L’utilizzo della vettura Ato da parte del presidente per poter assolvere i propri impegni di parlamentare non vale a smentire la tesi del peculato, costituendo finalita’ palesemente estranea alle attivita’ dell’Ato. In ogni caso, ai fini della quantificazione della pena, si apprezza l’opportunita’ di un contenimento della stessa in virtu’ della considerazione che l’uso delle vetture, come del telepass, per scopi estranei all’Ato non avveniva per finalita’ biasimevoli o riprovevoli, pur in presenza di un constatato sviamento dalle funzioni dell’Ato”. E’ il passaggio centrale della motivazione riguardante la condanna di due anni e otto mesi di reclusione per peculato inflitta, tre mesi fa, dal Tribunale collegiale di Pescara all’ex presidente dell’Ato, Giorgio D’Ambrosio, relativamente del processo sul cosiddetto “partito dell’acqua” che si sarebbe creato in Abruzzo nell’ambito dell’Ato numero 4 pescarese.
La condanna riguarda l’utilizzo da parte di D’Ambrosio, all’epoca dei fatti parlamentare, dell’autovettura e dei telepass dell’Ato per recarsi a Roma, nel periodo compreso tra il settembre 2006 e il novembre 2007, per motivi estranei alle finalita’ dell’ente. L’inchiesta si e’ notevolmente ridimensionata e, infatti, i giudici pescaresi hanno condannato solo l’ex presidente dell’Ato e per un solo reato.
Per quanto riguarda gli altri reati contestati, a vario titolo, a tutti gli undici imputati, nella motivazione, contenuta in una ventina di pagine, il giudice estensore Rossana Villani, spiega sostanzialmente che l’assoluzione e’ dovuta al fatto che le contestazioni “non hanno trovato riscontro nell’approfondimento dibattimentale”.
Rispetto alle accuse di peculato contestate a D’Ambrosio riguardanti le spese di rappresentanza per cene e altre attivita’ conviviali, anche attraverso l’utilizzo di una carta Kalibra, a disposizione dell’ente, il Tribunale ha deciso per l’assoluzione in quanto ritiene che “non sussiste un quadro indiziario idoneo a supportare l’impianto accusatorio”.
Secondo i giudici, “non ci sono elementi per ritenere che si tratto’ di spese di interesse meramente personale o comunque privato”.
Relativamente alla vicenda della presunta laurea comprata, il collegio ha assolto D’Ambrosio e il prof. Luigi Panzone, docente dell’Universita’ D’Annunzio, dall’accusa di corruzione perche’ “le risultanza istruttorie non sono tali da dare una prova convincente della contestazione accusatoria”.
Secondo i giudici, “il duplice interesse che lega i due soggetti” non e’ “necessariamente espressione di un vero e proprio scambio corruttivo”. Questo perche’, tra le altre cose, “gli approfondimenti in termini patrimoniali non sono tali da dare certezza sul ‘do ut des’ di natura corruttiva” e “l’atteggiamento assunto da Panzone nella interlocuzione sugli esami non e’ tale da dare la prospettazione di essere in grado di pilotare i risultati degli esami”.
Per D’Ambrosio e altri imputati e’, inoltre, intervenuta la prescrizione relativamente alla questione di una delibera dell’Ato sulla proroga di alcuni incarichi e ad altri aspetti attinenti sempre le procedure di affidamento di incarichi e consulenze.