ROMA -Alfredo Romeo si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia che si è tenuto questa mattina al carcere di Regina Coeli di Roma. Il gip Gaspare Sturzo, il pm Mario Palazzi e il procuratore aggiunto Paolo Ielo hanno lasciato il penitenziario. Poco prima Francesco Carotenuto, Giovanni Battista Vignola e Alfredo Sorge, gli avvocati difensori dell’imprenditore campano arrestato il primo marzo scorso per corruzione nella vicenda Consip avevano dichiarato: «Il nostro assistito afferma di non aver mai dato soldi a nessuno e di non avere mai incontrato Tiziano Renzi o gente legata all’entourage dell’ ex presidente del Consiglio».
«Alfredo Romeo non era un privilegiato, ma in Consip era un emarginato. Altro che corruttore, lui è stato fregato più volte». «L’immagine di Romeo come grande corruttore non è corretta». Lo afferma uno dei suoi difensori, Giovanni Battista Vignola, parlando con i giornalisti all’esterno del carcere di Regina Coeli. «La contestazione per cui Romeo è in carcere è marginale – spiega l’avvocato Vignola -: parliamo di cinquemila euro ogni due mesi per avere consulenze private sul perfezionamento dei calcoli per presentare delle offerte».
«Abbiamo depositato un esposto mandato da Romeo nell’aprile del 2016 – aggiunge il legale -, dove denunciava i raggruppamenti illeciti delle grosse imprese per aggiudicarsi gli appalti e soprattutto documentava come ha vinto e si è aggiudicato gli appalti. Ovvero solo ed esclusivamente praticando il prezzo più basso». Tutti gli altri gruppi, spiegherebbe Romeo nell’esposto ricordato dal suo legale, hanno vinto o per essersi raggruppati illegittimamente o per aver conseguito un punteggio molto alto sulla bontà del progetto. «Cioè su valutazioni discrezionali», conclude l’avvocato Vignola.
Gli avvocati Francesco Carotenuto e Alfredo Sorge hanno chiarito che: «Presenteremo una istanza di revoca della misura cautelare basata su diversi aspetti che lasciano dubitare sulla validità e l’utilizzabilità di molti aspetti processuali, sia per quanto riguarda la durata delle indagini sia per la modalità di acquisizione della prova per quello che riguarda le intercettazioni e la ricostruzione dei documenti attribuiti a Romeo, come i pizzini, sui cui a nostro avviso non sono state rispettate le regole previste dal codice di procedura penale».
Romeo avrebbe dovuto spiegare i centomila euro dati, secondo l’accusa, al dirigente Consip Marco Gasparri per avere informazioni e “dritte” sulle gare d’appalto. Poi chiarimenti sul “pizzino” recuperato dalla spazzatura del suo ufficio in cui compaiono la lettera “T” puntata preceduta da «30 mila euro mese»: per i pm è Tiziano Renzi, padre dell’ex premier Matteo. Presto potrebbe essere sentito anche l’ex deputato di An Italo Bocchino, lobbista di Romeo e indagato.
In settimana potrebbe svolgersi anche l’audizione di Michele Emiliano, governatore Pd della Puglia e candidato alle primarie per la segreteria del partito, testimone nell’inchiesta Consip. Emiliano ha raccontato al Fatto Quotidiano che l’imprenditore Carlo Russo, amico dei Renzi e indagato, gli era stato segnalato dall’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti e che per questo lo incontrò. Emiliano conserva alcuni sms di Lotti. Quest’ultimo, ora ministro dello Sport, è indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto per una presunta soffiata sulle indagini, ma respinge con forza qualsiasi accusa. «Hanno rinviato sistematicamente quest’interrogatorio», dice Emiliano, pm in aspettativa, «si vede che non è così urgente». E precisa: «Non ho nulla da testimoniare contro nessuno».
Intanto dalle carte dell’inchiesta emergono giudizi critici su Carlo Russo. L’esponente Pd napoletano Alfredo Mazzei, racconta ai giudici, che quando si informò su Russo per conto di Romeo «tutte le persone da me contattate sono state concordi nel confermare che il Carlo Russo era una persona molto legata alla famiglia Renzi; tuttavia ricordo che qualcuno di quelli da me interpellati», spiega ancora Mazzei «mi disse che era un personaggio da cui stare attento in quanto poteva essere un millantatore». «Devo dire che anche sul padre di Matteo Renzi raccolsi nel mio ambiente identiche opinioni a quelle sul conto di Carlo Russo» aggiunge Mazzei.