ROMA – “La nuova Rai” recita l’intestazione del disegno di legge pubblicato dal governo sul suo sito. Per ora si tratta ancora di un ddl in attesa della bollinatura del ministero dell’economia, ma tra le pieghe già si intravede un articolo che, almeno nell’enunciazione attuale, sembra rappresentare un terremoto nel sistema radiotelevisivo.
Il punto sembra tutto tecnico, ma dietro c’è la sostanza vitale della raccolta pubblicitaria e quella politico-culturale del duopolio Rai-Mediaset. Squadrando il documento ci si accorge infatti che alla lettera A dell’articolo 5 si decide l’abolizione degli articoli 17 e 20 della legge Gasparri. Il primo, in particolare, prevede al comma 2 lettera O «il rispetto dei limiti di affollamento pubblicitario previsti dall’articolo 8, comma 6, della legge 6 agosto 1990, n. 223». È la legge Mammì, che sul punto prescrive: «La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria pubblica non può eccedere il 4% dell’orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva».
Dunque, se il ddl di iniziativa governativa dovesse essere approvato così com’è, questi limiti di affollamento sparirebbero. Certo, resterebbero in piedi quelli previsti dal Tusmar, il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radio, ma sarebbe il primo passo di una deregolamentazione per la quale, solo da Rai Uno, si stimano maggiori introiti per mezzo miliardo di euro l’anno. Risorse che, inevitabilmente, affluirebbero verso viale Mazzini modificando gli attuali equilibri del sistema.
L’idea che sembra tentare palazzo Chigi è quella di arrivare a un’abolizione del canone. Per centrare l’obiettivo ci sarebbe la strada dell’inserimento nella fiscalità generale, che renderebbe meno iniquo un contributo che registra un tasso di evasione intorno al 30% a livello nazionale con punte in alcuni grandi città e nelle regioni del sud. E poi c’è quella dell’aumento degli introiti pubblicitari, percorso che il Ddl che verrà presentato nei prossimi giorni, forse già in settimana, in commissione trasporti al Senato sembra voler perseguire con decisione.
E se passando al microscopio legislativo il Ddl salta fuori questa abrogazione dei limiti dell’affollamento pubblicitario, occorre utilizzare il grandangolo della politica per inquadrare la scelta del governo in una partita più complessa, nella quale entra in gioco anche l’offerta di Ei Towers, controllata del gruppo Mediaset, per l’acquisto delle torri di RaiWay. Offerta peraltro bloccata lunedì dalla Consob dopo che l’Ei Towers aveva abbassato il tiro dal 66,7% al 40%, nel tentativo di tenere in vita un’offerta che sin dall’inizio era parsa illegittima, comportando l’acquisto di una quota eccedente il 49%, limite fissato dal ministero dell’Economia e dalla Rai nella vendita delle sue antenne.
Lì per lì quell’offerta era sembrata a molti un tentativo di “inchiodare” il premier all’intesa con Berlusconi, a quella sintonia che sul metodo per l’elezione del presidente della Repubblica s’era appena smarrita. Ora il governo presenta un disegno di legge che potrebbe deviare verso la Rai parte del flusso di ricavi derivanti dalla raccolta pubblicitaria finora appannaggio della concorrenza, Mediaset in testa. Quasi a smentire con un articolo di legge che la «clausola televisiva» del patto del Nazareno sia mai esistita.