ROMA – Dopo settimane e settimane durante le quali tutti gli istituti di sondaggio scandivano gli stessi numeri (il No in vantaggio di 5-8 punti), da 48 ore a palazzo Chigi si è allentata la tensione. Il presidente del Consiglio confida: «Il clima nel Paese sta cambiando». Una sensazione a “pelle”, o invece suggerita dalla lettura di istituti che convergerebbero nel segnalare un “risveglio”, magari timido, del Sì? Impossibile saperlo e comunque scriverlo: nei 15 giorni che precedono le consultazioni elettorali è vietata la pubblicazione dei sondaggi. E dunque soltanto la notte del 4 dicembre si capirà se negli ultimi giorni si stia concretizzando il fenomeno che Renzi sta preparando da mesi: il cambio del “clima” e delle intenzioni di voto nell’ultima settimana prima del voto, quella nella quale l’approssimarsi della scadenza può indurre scarti significativi.
Il presidente del Consiglio ci crede. Lo dice, perché deve dirlo, nei comizi. Ma lo dice anche nelle riunioni ristrette: «Vinciamo largo…». Training autogeno, certo. Motivazione delle truppe, certo. Ma Matteo Renzi, dopo aver fatto due mesi fa una apparente autocritica, dicendo che «è stato un errore personalizzare», da quel momento si è reso protagonista della più massiccia partecipazione personale di un presidente del Consiglio ad una campagna elettorale in tutto il dopoguerra. Una campagna permanente fatta di comizi in quasi tutte le province, di una partecipazione senza precedenti a talk show e Tg, di una presenza potenziata sui social network. Il tutto rafforzato da una presenza capillare, che sta sfuggendo ai media nazionali e che proseguirà anche negli ultimi cinque giorni: interviste a tappeto alle radio e alle tv locali. L’ambizione di una copertura totale, di un “total body”, al quale l’elettore medio è quasi impossibilitato a sfuggire.
Una campagna che ha fatto segnare una progressiva “grillizzazione” nei toni, nel modo di apostrofare gli avversari, per non parlare di un risvolto del tutto originale per un capo di governo: oramai nei comizi Renzi fa l’imitazione di Silvio Berlusconi, di Matteo Salvini, ma anche di un suo ministro, Dario Franceschini. Anche se negli ultimi cinque giorni di campagna, Renzi agiterà in modo ripetitivo tre concetti, quelli capaci di smuovere nel profondo l’elettorato: il più importante di tutti è la paura del «salto nel vuoto» (espressione che Renzi si è tenuta per gli ultimi giorni); lo sbandierare il pericolo del «governo tecnico», scommettendo sulla sua impopolarità; l’uno contro tutti, il Renzi contro la vecchia nomenclatura.
Messaggi che non sono sfuggiti ad un personaggio come Mario Monti. Intervistato da Maria Latella a Sky Tg24, l’ex presidente del Consiglio ha detto: «Non credo ci sia la necessità di governi tecnici, senza che questo diventi un mantra in positivo o in negativo. Io nè auspico nè prevedo ci sia un governo tecnico. E prevedo che il capo del governo resterà Matteo Renzi».