
REGGIO EMILIA – Vittorie per i candidati di centrosinistra alle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, ma a caratterizzare il voto è stato soprattutto il dato sull’astensione. In Emilia Romagna si è importo Stefano Bonaccini col 49%, ma dalle urne è arrivato soprattutto lo schiaffo del non-voto (alle urne solo il 37,8% degli aventi diritto), con “dem” e centrosinistra in calo. Il candidato del centrodestra, il leghista Alan Fabbri ha avuto il 29,85%. Ma da segnalare il risultato del Carroccio che con il 19% dei consensi è il secondo partito, mentre Forza Italia sprofonda all’8%. In Calabria mancano ancora i dati definitivi, ma è data per certa l’affermazione di Mario Oliverio, con oltre il 60% delle preferenze. Wanda Ferro, del centrodestra, che è data al 23,7%, praticamente impossibile da colmare.
Il dato più eclatante resta, comunque, il crollo del voto. Non è un test per il governo, ripeteva ieri mattina Maria Elena Boschi. Non si dia una lettura nazionale del voto, avvertiva, qualche giorno fa, il premier Matteo Renzi. Ma le Regionali in Emilia-Romagna e Calabria non potranno non avere una qualche ricaduta sulla mappa dei partiti e sullo stesso dibattito politico nazionale.
Il crollo dell’affluenza, verticale e `storico´ in Emilia-Romagna, e la cavalcata della Lega che, a Bologna e dintorni, si impone come secondo partito.
Novità che è lo stesso premier Matteo Renzi a sottolineare con un tweet: «Male affluenza, bene risultati: 2-0 netto. 4 regioni su 4 strappate alla destra in 9 mesi. Lega asfalta forza Italia e Grillo. Pd sopra il 40%». Parole che riflettono la soddisfazione per i risultati e la preoccupazione per il dato dell’astensione rimarcato negli stessi minuti da fonti del Nazareno e che tengono conto di un crollo dell’affluenza impressionante. In Emilia-Romagna, ha votato il 37,7% degli elettori, in Calabria il 44,1%.
I motivi sono diversi e contano le inchieste giudiziarie che negli ultimi mesi hanno martoriato entrambe le Regioni, da quella delle “spese pazze” in Emilia-Romagna a quella che, il 29 aprile scorso, costrinse alle dimissioni l’ex presidente calabrese Giuseppe Scopelliti. Vicende che hanno certamente allontanato gli elettori dalle urne ma che non spiegano del tutto un’astensione choc destinata ad irrompere nel dibattito politico.
Ma le elezioni di domenica sigillano l’ascesa dell’altro “Matteo”: il leader della Lega Salvini. Il “suo” candidato in Emilia-Romagna, Alan Fabbri, sostenuto anche da FI e Fdi, ha raggiunto il 29,9% dei consensi a venti punti dal neo-governatore Stefano Bonaccini. E la Lega, dopo il Pd, si avvia ad imporsi come secondo partito con Forza Italia lontanissima. Dati che, oltre a premiare la martellante campagna mediatica di Salvini – che anche ieri, su Twitter, non si è risparmiato – ridisegnano la mappa dei poteri dei partiti, lanciando il Carroccio nella sua cavalcata per una leadership dell’opposizione che vede invece in difficoltà quel M5S (che si è fermato al 13,26%) che nelle ultime elezioni aveva saputo anche catturare scettici e potenziali non votanti. Non ha dubbi, del resto, Salvini che in un tweet notturno esulta: «Il pallone Renzi si sta sgonfiando. La Lega vola, la nostra Comunità cresce ovunque. Pochi amici fra i potenti, tanti Amici fra la gente».
È in Calabria, invece, che si consuma il primo concreto risultato della frattura tra FI e Ncd. I due “cugini” non hanno trovato un accordo, proponendo candidati diversi (l’azzurra Ferro e l’alfaniano D’Ascola), ed entrambi incapaci di rivaleggiare con il Dem Mario Oliverio. Per il centrodestra è un nuovo campanello d’allarme. Ma la politica tutta, Renzi compreso, da domani dovrà interrogarsi sulla fuga dalle urne, in un periodo segnato dallo scontro perpetuo tra piazze e governo. Scontro che, secondo fonti del vertice Pd, vede vittorioso l’esecutivo. O meglio: vede perdenti quei partiti che sostengono lo sciopero generale relegati – viene sottolineato – a percentuali da prefisso telefonico.