
ROMA – E adesso tocca a Bersani. Giorgio Napolitano conferisce al segretario del Pd un «pre-incarico» che rappresenta «il primo passo di un cammino» che ha un solo sentiero: un Governo «in pienezza di poteri» che non si limiti all’emergenza ma abbia la forza di cambiare il Porcellum e di fare alcune importante riforme istituzionali. E naturalmente che abbia i voti in Parlamento.
Il Capo dello Stato ha invitato Luigi Bersani «a verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo». E poi «a riferire appena possibile». Il segretario del Pd ha avuto l’incarico come era prevedibile aspettarsi, ma la regia del Colle ha oggi preparato con cura una scenografia inedita che la dice lunga sulle perplessità del presidente rispetto alle idee di Bersani: Napolitano ha scelto di precedere il segretario del Pd e ha letto una lunga e articolata spiegazione. Il senso di questa formula scelta dal Colle la spiega Enzo Cheli, proprio il costituzionalista citato oggi da Napolitano: «Non si tratta di un incarico depotenziato, ma semmai di un incarico condizionato perchè chi lo ha ricevuto deve compiere una verifica dal momento che non esiste ancora con chiarezza una maggioranza», spiega bene il giurista.
Resta la possibilità che il presidente possa andare avanti anche oltre Bersani, ove non riuscisse a trovare il consenso parlamentare necessario. Questo perché, non solo Napolitano non può sciogliere le Camere essendo in semestre bianco, ma non vuole né può, visto che un dato certo è scaturito dalle consultazioni: nessuna forza politica ha chiesto il ritorno al voto. Napolitano ha riconosciuto che per una «grande coalizione» ci sono «difficoltà», ma non ha rinunciato ad «insistere sulla necessità di larghe intese» su «scelte di interesse generale» come «la riforma del sistema politico-costituzionale». Serve «forte spirito di coesione nazionale», ha ripetuto anche oggi. Il tutto mentre le posizioni delle principali forze politiche sono cristalizzate e rendono – almeno al momento – l’impresa di Bersani ciclopica. Il Pdl con Silvio Berlusconi non si stanca di chiedere un Governo di «concordia» o di responsabilità con la stessa maggioranza che ha sostenuto Mario Monti. E il Professore continua a schierare il manipolo di Scelta Civica sulle larghe intese pur facendo sapere che «non bisogna dare nulla per scontato». Puri e duri i grillini che non sembrano impressionati dall’incarico a Bersani e confermano il no a ogni esecutivo formato dai vecchi partiti.
Bersani ha vinto il primo round, riuscendo a convincere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad avere l’incarico. «Mi prendo il tempo necessario, è una situazione difficile», commenta uscendo dal Quirinale.
Pur «determinato», il leader Pd sa che il sentiero, per trovare i «numeri certi» che il Colle chiede entro metà della prossima settimana, resta strettissimo. Ma il premier incaricato non dispera e da domani avvia le consultazioni, prima con le parti sociali e da lunedì con tutti i partiti, per convincere sui programmi e sui nomi di un possibile esecutivo che serve «un governo del cambiamento». Il rebus davanti al quale si trova il segretario Pd è decidere se tirare dritto su una strategia di convincimento del M5S, che finora non ha dato frutti, o aprire un dialogo anche con il centrodestra. La via del governissimo per Bersani, e per una buona fetta del partito, non esiste ma altro discorso è trovare una condivisione sulle emergenze da affrontare che convincano la Lega e magari anche il Pdl a concedere una fiducia tecnica, lasciando l’Aula del Senato al momento del voto. E proprio in ottica di «corresponsabilità» sul piano istituzionale, non si esclude che Bersani avvii un confronto per una scelta condivisa per il successore di Napolitano, tema sul quale il Cav. punta i piedi da tempo.
L’incarico di Napolitano a Bersani non smuove il Movimento 5 Stelle, che resta sulle proprie posizioni dicendo no alla fiducia a qualsiasi governo. Sia politico che tecnico, se portato avanti da «questi partiti». Beppe Grillo, però, si mostra disincantato e non sembra credere alle elezioni anticipate: «»lla fine ci sarà un accordo. Quella che fanno Pd e Pdl è solo una manfrina» assicura in un’intervista, sempre ad una Tv straniera, questa volta turca. E la linea del No alla fiducia ad un qualsiasi esecutivo sorretto dai vecchi partiti è ripetuto dai capigruppo del movimento alla Camera e al Senato, Roberta Lombardi («nessuna fiducia a Bersani») e Vito Crimi. E ribadito con nettezza dal secondo dei due, per non lasciare spazio ad interpretazioni fuorvianti di una sua dichiarazione in cui invita il Pd a rinunciare ai rimborsi elettorali. «Faccia questo gesto e poi ne riparliamo» aveva detto il capogruppo al Senato facendo immaginare un gesto di apertura. Nulla di tutto questo. Il Movimento non vuole compromettersi con nessun partito e Grillo sferra attacchi a destra e a sinistra. Gli elettori di Berlusconi, afferma, sono «collusi con questo sistema, galleggiano sulla crisi, non vogliono il cambiamento».
Non cambia neanche la linea di Silvio Berlusconi. Tanto che il Cavaliere ripete in pubblico (prima al Tg5 e poi,in modo identico, al Tg2) quello che da subito dopo le elezioni va teorizzando con i big del partito: «Senza il Pdl non può esserci una maggioranza ed un governo a guida Pier Luigi Bersani». Da parte del Cavaliere non c’è nessuna preclusione a riconoscere che sia il segretario del Pd a sedere sulla poltrona di palazzo Chigi, quello che ci interessa è capire che tipo di programma si intende realizzare. A ciò si aggiunge l’altra partita in cui l’ex premier vuole essere assolutamente protagonista: l’elezione del futuro capo dello Stato. Un capitolo da cui il Cavaliere non vuole essere estromesso. Il concetto verrà ribadito dalla delegazione del Pdl nel momento in cui si sarà consultata dal leader Democratico. I nomi graditi al Cavaliere sono noti da tempo, Giuliano Amato così come il fidatissimo Gianni Letta, anche se, come emerge con nitidezza da qualche settimana, l’idea di riconfermare Giorgio Napolitano non è affatto sgradita ai piani alti di via del Plebiscito. Berlusconi ora attende le `mosse´ del segretario del Pd ed aspetta di capire se ci siano i margini per aprire una trattativa che gli consenta di diventare azionista di un esecutivo con i Democratici: «Sarebbe un danno grave se Bersani insistesse su una strada sbagliata perché così non avremmo un governo, ma un salto nel buio» anche perché i «punti proposti da Bersani» osserva non sono «dissimili da quello che proponiamo noi».