Nel corso del tempo, la storia letteraria del nostro paese, spesso ha offerto, a chi davvero ne sia appassionato, narrazione e racconti che “escono dagli schemi” della classicità poiché offrono al lettore contaminazioni di stili e generi diversi di scrittura, e questa abilità che solo una lettura saggia può cogliere, come appunto fa questo racconto “Pitagora e il mistero della musica delle sfere” di Biagio Russo.
Scrittore, o meglio divulgatore di conoscenza. In precedenza ha dato prova di sé, raccontando con il suo stile trascinante e nitido, storie di antiche civiltà. In questo nuovo testo, (DRAKON edizioni) egli analizza, giocando tra la serietà scientifica e la creatività musicale, da musicista, qual è, l’idea che tutto il movimento planetario, sia in realtà, un sublime ed eterno incommensurabile pentagramma cosmico, dove i pianeti, nel loro, ruotare, formino accordi e tonalità di un concerto infinito. Tematica che in un tempo remoto ipotizzò il genio siciliano di Pitagora: “ la musica delle sfere celesti”.
Una lettura, “non romanzo”, ma, un lirismo in prosa narrante, una scrittura giocata sull’immaginario, seppur pregno di fascinosa scienza istoriata, per tutta la sua durata diventa un racconto reale di suggestiva ricchezza semantica, ma che tuttavia, necessita di diversi livelli di lettura e comprensione. Subito, alle prime pagine, appare la “fictio” narrata, l’aspetto raffinato e fantasioso, ma altro non è che una forma elegante di sinfonie concertanti, che narrate con codici linguistico-scritturali di altre dimensioni semantiche, trascinano il lettore nelle abissali dimensioni cosmiche, al contempo intrise di fascinosa paura, e raffinata serenità. L’autore pare privilegiare questo percorso.
Molta critica europea, in passato, ha teorizzato, la “non compatibilità” tra narrativa allo stato puro (per non dire cristallino) e solchi scientifici e/o filosofici; con questo testo ben elaborato e strutturato, Biagio Russo, in un quadro, si appropria di questa teoria, che il lettore colto può identificare e fare suo, nettamente stravolge questa teoria, e propone un corpus unico, che si pone e si sceglie il suo posto nel panorama letterario nazionale, anche se lontano dai grandi circuiti editoriali, che non significa di minor valore culturale, ma che si incastona come una gemma di rara valenza.
Un libro coraggioso, dunque. Nel procedere nella lettura, netta si ha la sensazione di addentrarsi , appunto, in un labirinto che pone domande, a cui non si può dare nessuna risposta, è “quell’abisso oscuro” di recondita memoria, che sfugge alla prigione della coscienza, diventa nella scrittura di Biagio, una nuova idea di “religione della vita” che seppur laica, nulla a che fare con il canone tradizionale della ritualità classica, o meglio ne prende le distanze in modalità, potremmo dire, scritturale.
In questo suo scrivere, si percepisce una ritmicità, allo stesso tempo e modo dell’orbitare planetario, che ha una sua geometria, per così dire armonica. E come se, note di altra dimensione rechino al lettore-ascoltatore (perché poi ad un certo punto la lettura diventa concerto), orizzonti, sfuggenti e infiniti nel cosmo. Una musicalità, dunque, geometrica, come l’aveva teorizzata Pitagora, e che l’autore, riesce, con il suo scrivere a rendere comprensibile con la ritmicità di una sinfonia, con il solo strumento della penna.
Francesco Di Rocco