PESCARA – I carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Pescara hanno notificato stamani a un pluripregiudicato, detenuto nella casa circondariale di Busto Arsizio, un’ordinanza di custodia cautelare per i reati di concorso in detenzione illecita di armi e munizionamento da guerra e ricettazione. I fatti di cui deve rispondere riguardano il rinvenimento di un arsenale avvenuto oltre un anno, i primi di febbraio, a Pescara.
Il mezzo fu trovato dai carabinieri, coordinati dal capitano Claudio Scarponi, in via Giovannucci, ai colli, parcheggiato in strada e aperto, con quattro armi all’interno: due kalashnikov Ak47, un fucile a pompa e una pistola marca Bloc, tutti con i caricatori inseriti. Nei kalashnikov c’erano 30 colpi, nel fucile a pompa 4 colpi. Nel borsone con le armi anche due giubbini antiproiettile, due passamontagna, un paio di guanti da cantiere e un paio di pantaloni, oltre a una tanica con del liquido infiammabile e una miccia artigianale, il tutto accompagnato da un santino.
Le armi avevano la matricola abrasa e i carabinieri, dopo il rinvenimento, hanno subito avviato gli accertamenti, anche sul mezzo. Il furgone era stato rubato nel Teramano, a Martinsicuro, e presumibilmente il ritrovamento ha consentito di sventare un assalto.
La misura cautelare del gip Maria Michela Di Fine e’ stata notificata a Giovanni Misso, 60 anni, pluripregiudicato di origini genovesi, che nella sua carriera criminale si e’ reso responsabile anche dell’omicidio di un brigadiere, nel 1977. Il profilo del suo Dna e’ stato estratto, insieme a quelli di altre due persone non ancora identificate, dalle armi rintracciate sul furgone scovato a Pescara il 3 febbraio dello scorso anno, vicino ad una scorciatoia che porta all’ufficio postale di via di Sotto. Ad occuparsi delle analisi e’ stato il personale del Sis, il Servizio investigazioni scientifiche, che ha esaminato il mezzo e il suo contenuto.
Del 60enne i carabinieri e la polizia di Pescara si sono gia’ occupati nell’ambito di un’altra indagine sulle rapine ai furgoni portavalori in Abruzzo (due sono state sventate dagli investigatori), che ha portato – nel mese di ottobre 2014 – all’esecuzione di quattro misure cautelari, nei confronti dei suoi complici, mentre lui, ritenuto il capo della banda, era riuscito a sfuggire alla cattura. Si era rifugiato in Lombardia, dove proseguiva la sua attivita’ criminale, sostengono i carabinieri, e proprio li’ e’ stato preso in flagranza dai militari dell’Arma del gruppo di Monza insieme a sei complici (e 12 sono stati catturati su ordinanza di custodia cautelare) con i quali avrebbe messo a segno 14 assalti a portavalori, uffici postali, distributori e centri scommesse.
La caratteristica di queste bande era la consistente disponibilita’ di armi mentre i metodi di azione erano molto violenti, tanto che i banditi non esitavano a sparare. L’individuazione del Dna ha consentito anche di attribuire al 60enne una tentata rapina a un portavalori nei pressi di Livorno avvenuta nel 2011.