ROMA – “Parto dal presupposto che il presidente Boeri quando fa queste dichiarazioni abbia fatto tutte le valutazioni del caso, a partire dai dati a sua disposizione. Quindi presumo che abbia ragione. Non ho alcuna intenzione né di smentire né di confermare”. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti interviene all’indomani dell’allarme del presidente dell’Inps, Tito Boeri, a proposito dei trentenni che potranno andare in pensione a 75 anni e, seppur indirettamente, conferma la “beffa”.
Lavorare fino a 75 anni per avere una pensione inferiore a quella di padri e nonni di un quarto: è questa la previsione della simulazione dell’Inps sui 35enni di oggi. «Noi siamo consapevoli – argomenta Poletti – che questi elementi di cui parla Boeri sono prima di tutto figli di carriere lavorative discontinue e situazioni lavorative non stabili. Per questo come governo stiamo promuovendo una stabilizzazione del lavoro». Al ministro, intervenuto in una conferenza stampa in Regione Lombardia, viene chiesto perché un giovane dovrebbe continuare a pagare i contributi. La risposta è che ancora non ci sono «soluzioni alternative che gli garantiscano un risultato migliore».
Secondo le simulazioni Inps, chi è nato nel 1980 nel 2050 riscuoterà mediamente 1.593 euro di pensione contro i 1.703 euro percepiti oggi da chi è nato nel 1945. Ma poiché le prestazioni di oggi sono erogate per un periodo molto più lungo, il vero importo medio comparabile è di 2.106 euro. Ancora: se tutte le donne tra i trenta e i quaranta anni decidessero di avere un figlio, una su tre nel 2050 si dovrebbero accontentare di 750 euro al mese. È un problema sociale, perché aumenteranno i poveri, e un problema economico, perché più scendono le prestazioni, più bassi sono i consumi, più si deprime il Pil.
La causa di questo disastro è che in Italia si è permesso a tre pensionati su quattro di andare a riposo prima dei sessant’anni. Boeri aveva messo a punto una ipotesi di ricalcolo della pensione che sostanzialmente avrebbe tolto un pezzetto di pensione a chi (ieri) è uscito con il sistema retributivo a favore di chi (domani) avrà il contributivo. Renzi non ne ha voluto sentir nemmeno parlare. E la ragione è comprensibile: ancora l’88 per cento delle pensioni (12,4 milioni su 14) sono calcolate con il retributivo, e valgono meno di mille euro al mese. Nel cassetto resta una soluzione più radicale, proposta dallo stesso Renzi prima di diventare premier: chiedere un contributo agli assegni più alti. Il problema, come dimostrano i numeri, è che per «alti» qui occorre intendere tutti quelli sopra i duemila euro, pena l’irrilevanza del contributo.