ROMA – Probabilmente il provvedimento, così come concepito dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa, non sarebbe arrivato integro al Consiglio dei ministri. Doveva essere il primo mattone del Green New Deal, l’ambizioso piano italiano incastonato nella rivoluzione verde europea, ma alla fine è stato affossato dai dubbi di tutti: dei due partiti di maggioranza e dei ministeri competenti. Inutili i tentativi di prendersi la notte per ristrutturarlo radicalmente: il decreto Clima, salvo sorprese, slitta. In modo che, innanzitutto, possa essere rivisto lo scheletro finanziario della riforma.
Intendiamoci: le intenzioni del testo sono buone sia per il Pd sia per il M5S e rispecchiano gli accordi del programma di governo dei giallorossi, con alcuni passaggi riproposti alla lettera. Ma secondo diverse fonti di maggioranza, tutte interessate al dossier, c’era un duplice problema. Primo: mancava una copertura economica chiara e precisa. Secondo: toglieva funzioni a vari ministeri. Motivo per il quale il decreto è stato impallinato innanzitutto dai colleghi del ministro Costa. La cosa curiosa è che le critiche più forti sono arrivate proprio dal partito che esprime il titolare all’Ambiente. Sono i grillini ad accusare Costa del mancato coordinamento interno al M5S e tra i ministeri. Detto questo, anche secondo il Pd il testo sarebbe stato partorito troppo frettolosamente dal ministro, per avere una bandiera da sventolare al summit Onu sul clima che si aprirà a New York il 23.
La febbre verde che sta contagiando l’Europa è arrivata anche in Italia. E certamente ha un suo valore, simbolico e politico, la volontà di licenziare come primo provvedimento di peso del Conte II un decreto impostato sul rinascimento ecologico. Un omaggio anche alle ambizioni della presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen e allo spirito della nuova legislatura europea. Bonus fiscali per chi inquina meno e chi rottama auto vecchie, incentivi per chi usa i mezzi pubblici e per la sharing mobility, sconti per i prodotti sfusi, nel segno della lotta alla plastica.
Ma è soprattutto attorno all’articolo 6 del decreto che si sono avvitate gran parte delle discussioni e potrebbero sorgere altre spine nella maggioranza. Intitolato «riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi», prevede un taglio a partire dal 2020 fino al 2040, al ritmo del 10 per cento l’anno, di tutti i benefici fiscali che secondo il catalogo stilato dal ministero valgono quasi 17 miliardi di euro. Sconti che andranno progressivamente a sparire in venti anni e che coinvolgerebbero diversi settori e diverse categorie di lavoratori che usano, per esempio, carburanti inquinanti come i camionisti e i portuali. Un aspetto questo sul quale punteranno molto l’attenzione gli uomini di Italia Viva, la neonata creatura di Matteo Renzi. Il tema della transizione ecologica è stato uno dei tanti terreni di conflitto dentro il Pd tra la componente renziana del partito e quello più sensibile alla svolta green, sin dai tempi della battaglia sulle trivellazioni in mare. Ora il timore è che lo scontro possa riaccendersi tra le anime della maggioranza. Che non è più la somma di Pd, M5S e Leu ma deve fare i conti con Renzi. Grillini e democratici non hanno problemi a convergere sullo spirito della legge e l’impostazione ideologica che c’è alla base.
Per i renziani di Italia Viva invece andrebbe considerato accuratamente anche il contraccolpo economico della misura. Che, oltre al taglio, prevede che il 50% dei risparmi vada ad alimentare un Fondo presso il ministero dell’Economia, destinato al finanziamento «di interventi in materia ambientale, con priorità alla revisione dei sussidi ambientalmente favorevoli, alla diffusione e innovazione delle tecnologie e dei prodotti a basso contenuto di carbonio e al finanziamenti di modelli di produzione e consumo sostenibili». Un fondo da affiancare o integrare con quello per la decarbonizzazione e la riconversione economico-industriale, finanziabile attraverso una tassa sul carbone per le industrie che ancora fanno ricorso a questo combustibile. Una proposta di legge c’è già, depositata in Senato, e porta la firma del viceministro all’Innovazione del M5S Mario Turco.