ROMA – Si torna a parlare della vicenda Marò. Al Tribunale arbitrale internazionale dell’Aia, che deve stabilire chi abbia la giurisdizione sul caso, l’Italia chiederà che Salvatore Girone rientri in patria finché non arriverà la decisione sull’arbitrato, fra un paio d’anni.
L’udienza è stata aperta dal presidente del Tribunale arbitrale, il russo Vladimir Golitsyn. Subito dopo ha preso la parola per l’Italia, l’ambasciatore, Francesco Azzarello: «L’unica ragione per cui il sergente Girone non è autorizzato a lasciare l’India è perché rappresenta una garanzia che l’Italia lo farà tornare a Delhi per un eventuale futuro processo – ha detto -. Ma un essere umano non può essere usato come garanzia per la condotta di uno Stato».
L’ambasciatore ha ribadito: «Non si tratta di essere ottimismi o pessimisti, ma ovviamente l’Italia nutre speranze, basate su solide motivazioni giuridiche e umanitarie, altrimenti non sarebbe venuta. Sarà poi il Tribunale arbitrale a decidere a favore o contro la richiesta italiana e in quali termini».
«L’Italia ha già preso, e intende ribadirlo nel modo più solenne, l’impegno di rispettare qualsiasi decisione di questo Tribunale», ha aggiunto Azzarello, compresa quella di «riportare Girone in India» nel caso in cui l’arbitrato dovesse riconoscere alla fine del procedimento la giurisdizione indiana. Salvatore Girone «è costretto a vivere a migliaia di chilometri dalla sua famiglia, con due figli ancora piccoli, privato della sua libertà e dei suoi diritti – ha poi ribadito l’ambasciatore italiano -. Il danno ai suoi diritti riguarda l’Italia, che subisce un pregiudizio grave e irreversibile dal protrarsi della sua detenzione, e dell’esercizio della giurisdizione su un organo dello Stato italiano».
Ha poi ricordato che i marò – coinvolti nell’incidente dell’Enrica Lexie mentre erano in servizio antipirateria per conto dello Stato – godono dell’immunità. L’India tuttavia «non ha rispettato nemmeno il principio basilare del giusto processo» e cioè quello di «formulare un capo d’accusa».
I fatti risalgono al 15 febbraio 2012: due pescatori indiani, Valentine Jalstine e Ajesh Binki, vengono uccisi da colpi di arma da fuoco a bordo della loro barca al largo delle coste del Kerala. Della loro morte vengono accusati i due marò in servizio anti-pirateria sulla petroliera Enrica Lexie, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che però sostengono di aver sparato in aria come avvertimento. Inoltre, il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali a sud dell’India. Il 19 febbraio 2012 i due marò vengono fermati: per il governo indiano non vi sono dubbi che trattandosi di un peschereccio indiano e di due vittime indiane «debba prevalere la legge della territorialità», mentre per l’ambasciatore Giacomo Sanfelice e per la missione interministeriale era evidente che l’episodio, avvenuto su una nave battente bandiera italiana ed in acque internazionali, dovesse essere sottratto all’autorità’ di New Delhi.
La sentenza è attesa tra circa 4 settimane. Latorre, invece, alle prese con i postumi di un ictus, aspetta già a Taranto la nuova udienza della Corte Suprema indiana, il 13 aprile, sul suo permesso per motivi di salute in scadenza il 30 dello stesso mese.