Gli uomini, da sempre aspirano a migliorare se stessi, per quel senso perverso di imperfezione che impera nel loro intimo e, dunque, si abbandonano all’idea della speranza “del mondo migliore”. Dai primordi delle civiltà, la speranza è stata la chiave di ogni attività umana, diventandone faro. Tutti noi abbiamo una speranza, piccola e grande che sia, ma spesso, non diventa certezza, e dunque la sofferenza.
Religioni e movimenti politici ne hanno fatto bandiera, ma allo stesso modo è stata colonna portante di opere artistiche, siano esse, poesia, pittura o teatro. E parlare di speranza, non si può non parlare del mito di Pandora, che nella classicità greca è la prima donna, modellata dalla creta. Il suo nome ha significato di “ogni dono”. Lei, creata dagli dei, è il simbolo di tutte le virtù. Ma la storia, per chi sa di classicità, la conosce, e poiché è diventata un intercalare di uso comune nel parlato il racconto non ha più forza evocativa.
Ma il mito di Pandora si veste di poesia cristallina, quando a raccontare è la sacralità del movimento del corpo, in altre parole l’elegante fabulare della danza. E non poteva che essere così. Pandora, paradigma di speranza quando tutto sembra ormai perduto, è l’idea che muove la vita: la speranza rimasta nel fondo del vaso!
E allora, è subito scena! Si anima il corpo. Una voce lontana, Pandora appare spaventata, non sa dove andare, che fare. Quel corpo, è la visione dello smarrimento del tempo presente. Quella sublime fisicità, umiliata e offesa, siamo noi, perennemente incompiuti ed effimeri, poiché il nostro pianeta si degrada e siamo impotenti e assistiamo a catastrofi, malattie, guerre, fame, e le parole sono secche foglie al vento. Ma Pandora è una danza vitale e irruenta e combatte con la raffinata voglia di vivere, vuole riprendersi il mondo cristallino di un tempo, quel pianeta libero nella pienezza dell’azzurro. E la musica, prende per mano lo spettatore e lo conduce con la delicatezza coreografica in una irripetibile magia di luci e armonie, le stesse di un’epoca antica e sognante, ma in contrasto con questo tempo di frenesie enigmatiche. Storia che si fa scena con le geniali soluzioni scenografiche e coreografiche in un mirabile gioco di luci e video.
E le danzatrici, piccole farfalle che con la loro ingenua leggiadria si donano allo sguardo; dolcissime nei movimenti. Aggraziate “Pandora” che di volta in volta sono gli elementi portanti del racconto della vita, che ogni giorno diventa lirismo. Ma la curiosità mitologica di Pandora ha liberato tutti i mali del mondo. Il fuoco, animali che fuggono dagli incendi boschivi, e poi ghiacci che si frantumano, e pinguini e pesci nella trappola delle reti, e plastica. Un indicibile stillicidio di tragedie che umilia la bellezza. Eppure la natura ha voglia di vita, di rinascere ogni attimo. Ecco dunque il messaggio della scena, ecco l’armonia malinconica della danza, dai tenui colori che diventa irruenta creatività quando le musiche moderne prendono il posto del classico. Il tutto ideato e diretto con saggezza scenica da Emanuela D’Alfonso e le parole di Alessandra Martella nello spettacolo di danza “ E’ solo colpa di Pandora?” saggio di laboratorio della scuola Edart di Francavilla al Mare che vedrà la luce delle scene il 15 giugno alle ore 21 presso il Teatro Auditorium E. Flaiano, di Pescara.
Perché ,dunque, scaricare tutte le colpe su Pandora che ha il solo unico torto di un “peccato” di veniale umanità, liberando “quel vaso” con la curiosità maliziosa e ironica di sapere del domani. E come un processo mai avvenuto, dove giudici invisibili puntano il dito, ma, signori, “ … è solo colpa di Pandora? Suvvia, siate seri! Assolvetela, per non aver commesso il fatto!”.
Francesco Di Rocco