
PESCARA – E’ passato più di un anno da quel tragico pomeriggio in cui Piermario Morosini perse la vita. Finalmente oggi, si è concluso dopo oltre tre ore l’incidente probatorio relativo alla morte del calciatore, avvenuta il 14 aprile 2012 allo Stadio Adriatico di Pescara. I periti nominati dal gip Maria Michela Di Fine hanno esposto le loro conclusioni fissate nella lunga relazione presentata in aula.
Da parte del pm Valentina D’Agostino e dei legali dei quattro medici indagati sono state poste domande e puntualizzate questioni relative ai tre temi fondamentali trattati: la eventuale leadership tra i medici accorsi attorno al corpo dello sfortunato calciatore del Livorno, i tempi degli interventi e uno degli aspetti medico-legali più importanti, cioè la convenzione tra la Asl di Pescara e la squadra calcio di Pescara sulle responsabilità di intervento. L’avvocato del medico del 118 Vito Molfese, Alberto Lorenzi, ha spiegato in aula che questa convenzione non sarebbe mai stata notificata al 118 pescarese. I quattro sanitari sono il medico sociale del Pescara, Ernesto Sabatini, quello del Livorno Manlio Porcellini, il medico del 118 Vito Molfese e il primario di cardiologia dell’ospedale di Pescara Leonardo Paloscia. Secondo quanto emerso dalla relazione dei periti i quattro sanitari a titolo diverso tra di loro sarebbero ritenuti responsabili dell’omesso uso del defibrillatore, il cui uso “avrebbe dato qualche chance in più di sopravvivere”.
“È moralmente difficile girare pagina, per me e per il rispetto che ho per il ragazzo”. È il laconico commento del medico sociale del Livorno, Manlio Porcellini, al termine dell’udienza dell’incidente. Nel corso dell’udienza l’avvocato Girardi, che difende Porcellini, si è fatto l’idea che «ci sarebbero gli estremi per l’archiviazione del caso, ma sarà dura – ammette il difensore – perchè a Porcellini non hanno fatto sapere in quegli attimi concitati che c’era un defibrillatore e lui è stato impegnato a fare altro per salvare il calciatore».
I periti hanno infatti stabilito che tra le colpe omissive dei sanitari accorsi intorno a Morosini c’è quella principale di non aver usato il defibrillatore che avrebbe dato secondo i periti qualche chance in più al calciatore di vivere. Il defibrillatore, secondo le indagini, era stato portato vicino al corpo del calciatore steso per terra dai paramedici del 118, ma non fu usato da nessun medico.
Ora le carte del processo tornano tra le mani del pm D’Agostino che in una successiva udienza davanti a un altro gup che non sarà Michela Di Fine, dovrà presentare le sue conclusioni.