“Appena dopo la curva, ti appare, è davanti a te! Subito capisci che è un bambino eternamente capriccioso attaccato al seno della madre. E subito ti batte il cuore, riconosci quel battito, è quello tuo di sempre che ti fa commuovere, che ti sconvolge di brividi perché ne senti la carezza al contempo delicata e forte”. E’ il racconto di un emigrante che torna al suo paese, dopo quarantacinque anni.
Tutto questo mi fu detto, in inglese, da un mio cugino, che appunto lasciò il suo paese nel 1952, quando aveva poco più di venti anni, e tornò la prima volta nel 1997. Parlava e si commuoveva, alternava nella sua lingua incerta, tra l’inglese acquisito e cadenze dialettali che gli erano rimaste nel sangue, che io, poi, successivamente inserii nei programmi linguistici di inglese che insegnai, e che chiamai “Italiese”. Quelle sue emozioni, intrise di armonie di gioventù, di ricordi ancora viventi che davvero, non può, dimenticare, chi quella terra, un tempo avara, ma irrimediabilmente amata, la porta dentro di sé. E’ il destino di chi parte: come si dice da sempre “Partire è un po’ come morire” narrava, mio cugino, ma ogni tanto lo tradiva la memoria, non ricordava la parola dialettale, e diceva in inglese; nasceva così quell’ibrido linguistico, appunto “Italiese”.
Parliamo di Villa Santa Lucia degli Abruzzi, un borgo di raffinata storia centenaria in provincia dell’Aquila, un borgo, che come tanti, arricchisce di perle il vero tesoro italiano. Viverci non è una vita come tante, è quella che più ti appartiene, tra quelle case legate l’una all’altra, tra quelle stradine pietrose che narrano lo scorrere lento del tempo. Un’ora tra quelle strade, insieme ad altri è un tempo che non passa mai, non è come la città dove tutto è veloce, parlare quel dialetto ironico e sanguigno, è la dimensione della tranquillità, è la misura giusta di come ti senti importante, seppur nella piccolezza dello spazio, è il valore dello sguardo, quella pietra antica, che fa di te, una unicità irripetibile, non un anonimo senza volto come in città. E terra del sangue, – come chi scrive – Villa Santa Lucia degli Abruzzi , un nome lungo, ma breve, come si dice in dialetto “le ville”, a simbolo della gioventù. che mai muore nel petto dei villesi (come un verso di una canzone, un nome lungo e breve, giovinezza). Dire quel nome, pronunciare quel suono; e subito è amore.
Un borgo che ha fatto della sua cultura contadina, che è stata l’epoca di tutto il paese Italia che ha edificato il nostro tempo frenetico e spesso violento, la cifra sofferta di sangue, sudore e tante lacrime, ma della stessa pelle ne è intriso lo spirito ironico del villese. Non c’era una parola, una cadenza, un accento che non avesse una nota di ironia, o nello sguardo, malizioso e tentatore, di un bambino che sta per dire la sua. E quel lamentarsi volutamente esagerato, per carpire l’attenzione. E quel chiamarsi per soprannome, quello che ti identifica, e che racconta di te, e solo di te, al contrario del nome che il più delle volte suonava come anonimo, in quanto omonimi. Se, arrivando in paese, chiedevi di uno con nome e cognome si presentavano in dieci, ma il soprannome no, quello era tuo e sicuramente eri tu!
E tutto questo altro non è che VILLA SANTA LUCIA, un borgo attaccato alla sua montagna, come a difendere una madre che sta per essere aggredita, ed è ancora li, nel gigante verde che gelosamente ne conserva i contorni, che apparentemente sfuggenti, in realtà ti tendono le braccia per farti tornare, tra le viuzze pietrose intrise di lirismo della semplicità e di pettegolezzo, ma è il gioco dell’ironia immortale che fa da vessillo. La limpidezza delle giornate estive, fresche, l’aria ancora pulita che si respira sono “parole” che capisce solo chi vive quel paese, anche chi per storie diverse è stato costretto ad andare via, ma le stradine, le mura centenarie, le cadenze, gli accenti, quelli no, li porti con te, le tieni nascoste nel tuo scrigno personale, perché è la tua terra, la tua storia, il tuo mondo. Il tuo sangue che ha il colore illustre della tua memoria. (Foto: Tonino Di Gregorio)
FRANCESCO DI ROCCO