ROMA – Sarà ballottaggio fra Ignazio Marino e Gianni Alemanno per la conquista del Campidoglio. Affluenza in forte calo: nella capitale è stata del 52,8%, oltre 20 punti percentuali in meno rispetto al 2008, quando andò a votare il 73,52% degli elettori. Con 1.458 sezioni scrutinate su 2.600, Marino è nettamente in vantaggio con il 42,92%. Alemanno insegue con il 30,09%, De Vito è al 12,44% e Marchini al 9,40%. Un’ora e mezzo dopo la chiusura delle urne, lo spoglio delle schede sul sito del comune di Roma era ancora fermo. Poi i risultati hanno cominciato lentmente ad arrivare.
La sfida era annunciata: Alemanno e Marino vanno dunque al ballottaggio in una Roma che ha perso metà dell’elettorato: il chirurgo e la sua coalizione al 43% staccano il sindaco uscente che si attesta al 30%. Ma ora entrambi sanno che per vincere devono conquistare l’elettorato disperso. Quei tantissimi romani in fuga dalle urne, spaventati o stanchi da troppa o poca politica. Persino in fuga dall’antipolitica di M5S che crolla nella capitale arrivando al 14% dopo il 27,7% delle politiche. E che non premia pienamente neanche una novità civica e di territorio come il movimento di Alfio Marchini, imprenditore romanissimo, che si ferma al 7,9%. Anche un voto di nicchia come quello per la sinistra di Sandro
Medici si blocca all’1,7%.
La vittoria per il futuro sindaco di Roma si giocherà su quelle tantissime schede inutilizzate che giacciono nei seggi romani disertati da molti. Perché, come osserva Alemanno, «nessuno vuole essere sindaco del 50% dei romani». Lo sa bene l’esperto e navigato sindaco uscente che riconoscendo come «la partita è ancora aperta» indica anche il campo di gara «dove combattere fino alla fine». «Bisogna portare al voto metà dei romani, bisogna capire il perché dell’astensionismo soprattutto dei giovani», dice parlando dal suo comitato e primo tra i candidati a rompere il ghiaccio.
Marino invece parla tardi, molto tardi. Fa un discorso pragmatico, di politica realissima. Parla di «buche, senza casa, senza lavoro». Ringrazia chi «ha votato». E sentenzia «la città vuole cambiare, la corsa però non è finita». Poi fa un indiretto appello agli elettori dell’M5S «abbiamo temi in comune», e un complimento a Marchini che ha ottenuto «un risultato rispettabile».
Un Marino in versione politica forse anche per la presenza accanto a lui del Pd. Dopo una campagna elettorale senza, oggi il partito c’è. E precede le poche parole di Marino. È un Pd col volto vincente di Nicola Zingaretti e quello pacato di Enrico Gasbarra, segretario regionale. Si complimentano per gli ottimi risultati, «anche del Pd che le proiezioni danno al 26%», sottolinea il segretario regionale. Perché il candidato Marino, reduce da una campagna elettorale con un Pd polverizzato a livello nazionale e decapitato nella segreteria cittadina, ha fatto di necessità virtù e forse il risultato, dice più di un fedele del chirurgo, lo ha strappato per il suo smarcarsi dal partito che non c’è.
Il segretario Gugliemo Epifani si complimenta per il risultato e in serata, al comitato, arriva anche Nichi Vendola. Alemanno invece dopo una tiepida investitura ha potuto contare su tutta la coalizione, Fdi e La Destra di Storace comprese. E soprattutto Berlusconi. Ora che tenta il bis l’ondata di astensionismo più che un elemento negativo potrebbe essere un’occasione. Ha fatto una campagna elettorale paradossalmente in salita il sindaco, a combattere con Parentopoli e inchieste. Ora spera. «Il ballottaggio non è il secondo tempo di una partita ma un match totalmente diverso – riflette –
Su Rutelli nel 2008 ho vinto per 84mila voti, ora da Marino mi separano 124mila preferenze». La rimonta, spiega, è possibile.
I due outsider De Vito e Marchini si guardano attorno. De Vito ammette il calo di M5S pur considerandolo «non vistoso». Non accusa nessuno, tanto meno Beppe Grillo, «non avrei preso più voti se fosse stato più presente», ma sottolinea «il movimento non è lui». E annuncia che i pentastellati faranno opposizione. Dunque per ora nessuna indicazione di voto. «Io personalmente non votero», dice ma poi apre un flebile spiraglio: «non escludo comunque una consultazione on line».
Chi canta vittoria, ma l’avrebbe cantata comunque perché «abbiamo ucciso il consociativismo», è Marchini, l’imprenditore dal senso civico, che sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi, migliori di quelli che hanno arredato Roma nella sua campagna elettorale col cuore-tormentone, giudica il risultato ottenuto «straordinario: un popolo si è messo in marcia». Non parla di endorsement l’accorto Marchini ma, precisa, «non farò il vice di nessuno ma faremo una grande attenzione ai programmi e ai valori».
«La partita è ancora apertà. La sinistra non canti vittoria», dice ancora Alemanno, che crede nella rimonta. Ora che il partito dell’astensione rende il panorama romano liquido, il 30% incassato al primo turno dal sindaco uscente può essere lo zoccolo duro di una vittoria ancora a portata di mano. Per questo è pronto a giocare anche una carta nuova: un contratto con i romani «sulla gestione della cosa pubblica», da stringere anche con chi non è andato ai seggi perché «nessuno vuole essere il sindaco di metà dei romani». La parola d’ordine è: riconquistare il non voto prima del Campidoglio. E sempre per invogliare i romani ad andare a votare «farò un appello al voto questo sì più programmatico che si baserà sullo sviluppo, sulla sicurezza, sul lavoro e sul decoro».
«Cambieremo tutto, c’è bisogno di una rinascita». È invece l’impegno di Marino, chirurgo e ormai ex senatore, che vuole riportare il Campidoglio al centrosinistra dopo cinque anni. In Parlamento dal 2006 a pochi giorni fa, prima con i Ds e poi con il Pd, 58 anni, Marino si candida a sindaco di Roma dopo aver vinto le primarie del centrosinistra. Già presidente della Commissione parlamentare sul sistema sanitario, promette una città con trasporti e servizi al livello delle grandi capitali del mondo. Genovese, sposato con una figlia, vive a Roma – dove si è laureato – da moltissimi anni, nonostante l’accusa dei rivali di non essere abbastanza romano. ‘Daje!’ è lo slogan scelto per la sua campagna. Specialista in trapianti di fegato, Marino ha avuto incarichi in Inghilterra e negli Stati Uniti prima di tornare in Italia, dove ha effettuato il primo trasferimento di organi su un sieropositivo. Lasciata la professione è entrato in politica, mostrando un particolare interesse per i temi etici e caratterizzandosi, pur da cattolico, per posizioni progressiste su diritti civili e testamento biologico.