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ROMA – Nulla da fare per l’abruzzese Franco Marini, che alla prima votazione non raggiunge il quorum per l’elezione del presidente della Repubblica. Anzi. Si ferma ben al di sotto: 520 voti contro i 672 richiesti. Stefano Rodotà ha preso 243 voti, Sergio Chiamparino 41. 14 preferenze per Romano Prodi, seguito da Bonino, D’Alema, Napolitano e Finocchiaro.
La spaccatura nel Pd è ormai evidente. I renziani non hanno votato per l’ex leader della Cisl. Anche Vendola e i suoi si sono sfilati annunciando il voto per Rodotà, il candidato indicato dai 5 Stelle dopo le rinunce di Gabanelli e Gino Strada. E adesso nel Pd c’è già chi invoca la resa dei conti su Bersani. La linea del segretario è infatti stata bocciata sonoramente dalle Camere.
Un timido applauso è scattato nell’aula della Camera quando i voti in favore di Franco Marini hanno raggiunto il numero di 504: una cifra ben inferiore al quorum richiesto nelle prime tre votazioni (670), ma sufficiente dal quarto scrutinio in poi. Il Pd tuttavia, visto anche l’ampio numero di voti mancanti a Marini, potrebbe valutare di cambiare “cavallo”.
Da parte sua Marini, intervistato questa mattina fuori dalla sua abitazione, aveva spiegato che sarebbe stata «una battaglia dura». «Spero si possa fare bene. Oggi – aveva aggiunto l’ex leader Cisl – De Mita mi ha fatto una telefonata, mi ha fatto molto piacere. L’augurio è che il mio partito possa ritrovare una forte unità. Scissione? Ma quale scissione. Sono in corsa e me la gioco fino in fondo», aveva confidato Marini agli amici abruzzesi (politici e non) sentiti al telefono nelle ultime ore.
Intanto a Montecitorio va in scena la stretta sui “prevotanti”, ovvero dei parlamentari che “saltano” il turno per votare. La presidente della Camera Laura Boldrini, cui la Costituzione conferisce la guida dei lavori del Parlamento in seduta comune, ha annunciato prima di indire la prima votazione per il nuovo Capo dello Stato che non ci sarebbero state eccezioni all’ordine previsto per votare: prima i senatori, poi i deputati e quindi i delegati delle Regioni. Tutti per ordine alfabetico. Normalmente, i leader dei partiti chiedono di votare prima di quando toccherebbe loro effettivamente, potendosi subito dedicare alle altre cose da fare. Per cui alla fine i “prevotanti” arrivano anche ad essere pure una trentina, scatenando le proteste in Aula di chi viene sorpassato.